La storia dell’uomo è composta da cicli storici che, molto spesso, anche a distanza di secoli, ritornano a farci visita.
Ed è proprio da questa affermazione che introduciamo l’argomento di questo approfondimento: la vinificazione in anfora.
Noi di Grapee abbiamo avuto la possibilità di provare alcuni vini prodotti in anfora in occasione della trentunesima edizione del Merano WineFestival: nei prossimi paragrafi vi indicheremo i vini in anfora che più ci hanno colpito.
Ma prima di tutto è importante ripercorrere brevemente qualche secolo di storia e introdurre delle nozioni tecniche su questa particolarissima metodologia.
Fin dall’antichità (circa 6000 anni fa), le anfore erano utilizzate come strumento per la conservazione di cibi e di bevande fermentate.
Il Paese che (più di tutti) è riuscito a mantenere intatti i metodi e le tecniche della produzione di vino in anfora è la Georgia: probabilmente grazie all’inserimento di tali metodologie nel patrimonio UNESCO.
Il procedimento tramandato nei secoli prevede la collocazione del mosto d’uva nelle anfore interrate dal momento della raccolta fino alla primavera successiva: questo per consentirne, in un primo momento, la fermentazione spontanea e, successivamente, l’affinamento. Tutto ciò avviene sia per i vini bianchi che per i vini rossi.
Stesso discorso per i vini naturali: in questo caso la caratteristica principale è la macerazione sulle bucce.
Click sul link per chi volesse fare un ripasso sulle tecniche di vinificazione in rosso e in bianco!
Torniamo alle nostre amate anfore.
Ci sono indizi storici che ci segnalano l’utilizzo delle anfore anche in Italia: tale tecnica è stata introdotta nella nostra penisola dagli Etruschi migliaia di anni fa. Successivamente l’anfora è stata accantonata per far posto a nuove tecnologie.
É stata riscoperta, anche in Italia, solo durante l’ultimo decennio: e, neanche a farlo apposta, è stato proprio un georgiano, Josko Gravner, a vinificare nuovamente nelle anfore in una zona al confine tra Italia e Slovenia. Questo grazie al know how appreso nella propria terra d’origine.
In passato abbiamo ampiamente affrontato i temi relativi alle varie tecniche di vinificazione. Ma non abbiamo mai parlato di anfore.
Come si vinifica in anfora?
Partiamo da una certezza: questa tecnica di produzione richiede una forza lavoro maggiore pertanto è lecito aspettarsi dei costi di produzione più elevati rispetto alle consuete tecniche di lavorazione dell’uva.
Allora sorge immediatamente un dubbio.
Perchè adottare questa tecnica? Uno dei vantaggi della terracotta, rispetto al legno, è riconducibile al fatto che questo materiale non cede aromi.
Questo vuol dire non modificare la struttura organolettica del vino e quindi esprimere al meglio le potenzialità di un determinato vitigno. Inoltre, all’interno della terracotta, i vini entrano in contatto con l’ossigeno in modo naturale.
Le anfore, realizzate con capacità tra i 300 e 1000 litri, vengono realizzate a mano da artigiani: è durante la fase di cottura della terracotta che si determina la porosità e quindi il livello di microcircolazione dell’ossigeno.
Questa tecnica di vinificazione prevede la collocazione delle uve all’interno dell’anfora al fine di far partire il processo di fermentazione. L’anfora può essere sia interrata (posta all’interno della terra) che al di fuori del suolo.
La fermentazione avviene contemporaneamente alla macerazione sulle bucce: quindi è prevista la follatura, o rimontaggio. La fase in cui il mosto viene rimescolato con le bucce.
In linea di massima il vino resta in anfora per circa 6 mesi. Da tradizione, infatti, il vino non viene lasciato nelle anfore durante il periodo estivo.
Uno dei vantaggi dell’utilizzo delle anfore è sicuramente la longevità dello strumento: a differenza del legno, che dopo alcuni passaggi va sostituito, questo recipiente di terracotta si presta ad un utilizzo continuo nel tempo.
Come anticipato all’inizio di questo approfondimento, durante la 31° edizione del Merano WineFestival abbiamo avuto la possibilità di addentrarci in maniera molto pratica in questo meraviglioso mondo fatto di anfore e terracotta.
Abbiamo partecipato ad una Masterclass, organizzata dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, dedicata proprio alla vinificazione in anfora: dopo una prima fase di presentazione dei vini del Consorzio prodotti in anfora, siamo passati alla degustazione guidata insieme ai produttori.
Di seguito i tre vini in degustazione:
Tre vini prodotti da uve autoctone piemontesi, in grado di conservare a pieno le caratteristiche principali del vitigno, grazie proprio ad un sapiente utilizzo delle anfore.
Abbiamo iniziato la degustazione con un Grignolino, un vitigno a bacca nera che ha origine proprio sui colli del territorio del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato.
Il Grignolino D’Asti DOC “Lanfora” si presenta con un colore rosso granato con riflessi aranciati tipici del vitigno, cristallino all’aspetto visivo. Al naso è forte il richiamo di speziatura, pepe nero ad esser più precisi, altra caratteristica tipica del vitigno. Percettibili note eteree e di lampone.
Il secondo vino degustato è il Piemonte DOC Freisa “Anphora”: in questo caso il colore è rosso rubino con riflessi granata. Al naso si presenta intenso, con richiami di frutti rossi ed una leggera nota terrosa.
Ultimo vino degustato, il Barbera D’Asti DOCG “Amphora” 2017. All’esame visivo il colore è un rosso rubino intenso. Al naso profumi ricchi e intensi, dai sentori di frutta rossa matura e spezie selvatiche. Caratteristiche che spiccano: un’ottima freschezza e la lunga persistenza.
Incuriositi dalla produzione del vino in anfora, siamo andati alla ricerca tra gli stand dei tantissimi espositori.
Volevamo capire se ci fossero altri produttori, di altre regioni italiane, ad essere impegnati nella vinificazione in anfora. Ma soprattutto volevamo incontrare anche un esempio virtuoso di vinificazione in anfora di vitigni a bacca bianca.
Tra le varie degustazioni dei tantissimi produttori presenti al Merano WineFestival, ci siamo imbattuti nel “Sopraquota 900“: prodotto vinicolo dell’Azienda Agricola Rosset in Valle d’Aosta.
Questo vino valdostano viene prodotto a più di 900 metri di altitudine: per cui si può parlare certamente di un vino eroico.
Altra caratteristica da sottolineare è la tecnica di affinamento: Sopraquota viene affinato in parte in anfora, in parte in orcio toscano, in parte in barrique, in parte in acciaio!
Il vitigno utilizzato per la produzione di questo vino è il Petite Arvine: varietà diffusa principalmente in Svizzera e Val d’Aosta.
L’annata era la 2020. Quello degustato è un vino bianco dal colore giallo paglierino, con sentori fini e floreali, che richiamano note di pompelmo, fiori bianchi e frutta a polpa bianca.
Il sorso è diretto e verticale con un finale sapido e fresco. Tanta vivacità.
Un vero piacere.